La Nostra Intervista Con Lo Chef Stellato Michelino Gioia Dell’Esclusivo Hotel IL Pellicano
Arroccato su una baia incontaminata di Porto Ercole, il leggendario Hotel Il Pellicano è un lussuoso rifugio dove eleganti ville trasudano un fascino senza tempo. Le storie dei suoi ospiti illustri ne hanno designato la sua fama, i segreti più intimi sono incisi sulle sue mura e i suoi spazi riflettono un equilibrio perfetto tra contemporaneità e atmosfera retrò. Una storia tutta da scoprire e un connubio di sapienza e passione italiana, a cui si aggiunge il tocco unico del CEO e Direttore Creativo della Pellicano Hotels Group, Marie-Louise Sciò, e la magia culinaria dello chef Michelino Gioia e della sua stella Michelin.
Prima di stabilirsi all’Hotel Il Pellicano, Michelino ha viaggiato attraverso l'Italia esplorando le cucine regionali e sviluppando un talento fantasioso nel trasformare i piatti della tradizione in favolose creazioni contemporanee. Nel 2003 è diventato Executive Chef del ristorante The Cesar de La Posta Vecchia, struttura dello stesso gruppo, dove è rimasto per tredici anni, proponendo novità culinarie che gli sono valse una stella Michelin. Come Head Chef dell’Hotel Il Pellicano dal 2018, Michelino combina genialità artistica e attenzione ai prodotti locali, dove ogni piatto è un viaggio alla scoperta dei sapori del territorio.
Quali sono le difficoltà che comporta lavorare in un hotel rinomato sia a livello storico che internazionale, come l’Hotel Il Pellicano?
Credo che lavorare in un posto come l’Hotel Il Pellicano, a parte l’emozione che puoi vivere ogni giorno, comporti il dover cercare di essere sempre all'avanguardia, avere la costanza nell'offrire un servizio al top per i nostri ospiti che sono sempre più esigenti. Ma bisogna anche avere un occhio rivolto a ciò che succede nel mondo, rimanere aggiornati sui migliori prodotti di qualità per offrire il meglio ai nostri clienti.
Lavorare in questo splendido luogo implica anche il doversi confrontare sempre con gli altri colleghi, per creare qualcosa di nuovo ma anche di personale: uscire dalla classica offerta e concepire un piatto che sia fortemente identificativo.
Prima di iniziare all’Hotel Il Pellicano hai passato ben 13 anni al ristorante The Cesar de La Posta Vecchia, l'hotel che appartiene allo stesso gruppo. Hai dovuto in qualche modo adattare il tuo stile di cucina nello spostarti da uno spazio all'altro?
Dopo il The Cesar, prima di tornare all’Hotel Il Pellicano, ho avuto anche altre esperienze. Inoltre, ho avuto modo di collaborare con diverse realtà anche nel periodo in cui lavoravo al The Cesar perché, durante l’inverno, riuscivo a fare dei percorsi di stage e collaborazioni per accrescere le mie competenze.
I miei punti cardine, per quanto riguarda l'ispirazione di un menù, sono sempre gli stessi: la tradizione, il territorio, la stagionalità e il confronto con i miei collaboratori. Questi quattro punti sono costanti nel mio lavoro, ma un bravo chef deve essere in grado soprattutto di adattarsi al contesto in cui opera. Nel caso dell’Hotel Il Pellicano, mi ispiro ad un concetto più toscano, mentre nel ristorante de La Posta Vecchia mi ispiravo molto di più alla cucina del Lazio. Lo stile rimane lo stesso ma il risultato finale è ovviamente diverso.
Hai viaggiato in lungo e in largo per il Paese prima di stabilirti in Toscana, cosa hai imparato dalla diversità delle cucine regionali italiane?
Mi ritengo fortunato perché ho avuto modo di conoscere la cucina di molte regioni italiane, ma ho fatto anche delle esperienze all'estero. L’Italia è formata da ben 20 regioni e ognuna di esse ha una sua cucina tipica, così come ogni provincia e ogni piccolo borgo. Abbiamo un bagaglio culinario talmente vario da fare invidia a tutto il mondo.
Da Nord a Sud abbiamo una grande varietà di ricette e sapori: nelle regioni più fredde del Nord si usa più burro in cucina, sulle montagne preferiscono l’utilizzo di radici, erbe e selvaggina, invece man mano che si scende verso sud la cucina diventa più solare, con tante ricette a base di pesce. Tutte le esperienze che ho avuto in giro per l’Italia confluiscono nella mia cucina, ma in qualche modo devo rispettare la regione in cui lavoro. Siamo in Maremma, in particolare sulla costa dell’Argentario, e mi trovo a riadattare le mie conoscenze in base agli ingredienti di questo territorio.
Non per questo ci priviamo della “contaminazione” con altri prodotti come le ostriche o il fois gras (anche se si usano sempre meno). Ad esempio, possiamo presentare un’anguilla di Orbetello con salsa di soia, una vera eccellenza locale ma cucinata a modo nostro.
In un paese come l'Italia, dalla lunga storia enogastronomica e ricchissimo di tradizioni, può essere difficile, per uno chef, restare al passo coi tempi o spingersi oltre il convenzionale?
Credo che non sia un ostacolo ma piuttosto un’opportunità. Penso che la grande cultura e la storia culinaria che abbiamo in Italia possano essere più che altro una fonte di ispirazione. Abbiamo più spunti da cui attingere per poi realizzare un piatto all'avanguardia.
Dopo aver ricevuto una stella Michelin, hai avuto pressioni per attenerti ad un certo stile o menu che ti ha portato a quel risultato, o al contrario, ti senti più al sicuro quando provi ad innovare?
Penso che per uno chef questo sia un lavoro che si fa solo per passione, altrimenti sarebbe difficile sopportare la fatica e le pressioni che ne derivano.
Credo che uno chef non debba mai perdere la voglia di innovare e di creare. Detto questo però, prima di avere la stella Michelin, sei più imprudente, non hai nulla da perdere, mentre dopo questo tipo di riconoscimento è normale che si diventi più cauti. Noi ad esempio, prima di aggiungere un nuovo piatto nel menù, ci lavoriamo per settimane. Allo stesso tempo non bisogna mai smettere di fare nuove proposte perché, se un giorno mi dovessi fermare, allora sarebbe il momento di cambiare lavoro. Se perdessi lo stimolo di andare avanti, la voglia di trasmettere entusiasmo anche ai miei collaboratori, non avrebbe più senso fare lo chef.
Dicci qualcosa del tuo rapporto coi produttori locali che riforniscono il tuo ristorante coi vari ingredienti. Come li hai trovati? Visiti spesso le loro strutture?
Per me la relazione con il territorio è molto importante. Una delle prime cose che ho fatto quando sono arrivato all’Hotel Il Pellicano è stato prendere i contatti con tutti i fornitori locali per poi poter elaborare i menù e le nuove proposte. Ad esempio, con il fornitore del pesce cerco sempre di capire qual è il pescato migliore per ogni stagione, scegliendo tra pesci locali come il san pietro, il rombo o la gallinella. Loro sono parte integrante del mio lavoro.
Durante l'estate non riesco, ma quando rallenta un po' il ritmo del lavoro a Il Pellicano cerco di incontrarli tutti. Spesso sono loro stessi che mi propongono altri fornitori, come quello del formaggio che mi propone un suo contatto per la carne, e la catena che si viene a creare è fantastica.
Hai parlato della tua ambizione di creare piatti che gli ospiti ricorderanno anche “molto tempo dopo aver lasciato il tavolo” – qual è il tuo segreto per assicurarti che questo accada?
Mi piacerebbe avere questa certezza, ma ovviamente non è possibile. Però ci provo e credo che il modo migliore per poter lasciare un ricordo sia innanzitutto lavorare bene sul prodotto, e magari proporre qualcosa legato alla propria infanzia. A me succede spesso di pensare per giorni ad un piatto che in qualche modo ricorda mia madre: è una bella sensazione.
Due anni fa, ho proposto il “Risone con gli sconcigli e finocchietto”: una ricetta che lei preparava spesso per me quando ero piccolo. Questo ricordo suscitava in me grande emozione e così l’ho riproposta ai miei clienti. Devo dire che il piatto è piaciuto molto!
Lavoriamo molto su questi piccoli dettagli. Basta davvero poco a volte per creare un gran piatto.Tutto sta nell’indovinare il ricordo giusto; noi ci proviamo.
In che modo gli ospiti passati e presenti de Il Pellicano ispirano i piatti che inventi e produci?
Penso di essere un buon ascoltatore e per quanto riguarda l'ispirazione nel creare un piatto, un nuovo menù, ovviamente parto sempre dal confronto con i miei collaboratori. Scegliamo un ingrediente e da lì costruiamo una ricetta. Poi ci sono altri fattori come la stagionalità degli ingredienti, i fornitori locali e il territorio; tutto fa parte del processo creativo. Anche i clienti possono dare grandi suggerimenti per migliorare un piatto.
Cosa ti entusiasma di più del cucinare?
Una delle cose più emozionanti è il contatto con la materia prima, che poi andremo a trasformare. Nel realizzare un piatto, c’è un'emozione che secondo me non ha prezzo.
Vedere un impasto che lievita, toccarlo con mano o lasciarsi avvolgere dai profumi che aleggiano in cucina, è qualcosa di unico… In qualche modo, questi momenti mi ricordano la mia infanzia. È un vero ritorno al passato.
Quale ritieni che sia la differenza principale tra un ristorante separato da altre attività, e il ristorante di un hotel in cui gli ospiti trascorrono lunghi periodi di tempo?
Sicuramente, in un ristorante a sé stante è possibile fare un menù più ridotto, mentre nel ristorante di un hotel bisogna considerare un’offerta più ampia, tenendo presente che gli ospiti rimangono in casa anche per diversi giorni.
Per questa ragione devo garantire una maggiore varietà, cambiare ogni giorno la piccola pasticceria e l'aperitivo, ma soprattutto devo adeguarmi alle esigenze degli ospiti.
Dobbiamo considerare che in un posto come Il Pellicano, che è un resort, gli ospiti trascorrono l’80% del loro tempo in una delle strutture legate al reparto F&B: iniziamo la mattina con la colazione, continuiamo in spiaggia con degli snack o qualche sandwich, poi c'è il pranzo o insalate al bar o al Pelligrill, nel pomeriggio serviamo ancora degli snack, poi c’è l’aperitivo, la cena al Ristorante Il Pellicano o al Pelligrill e per finire il digestivo.
Credo ad esempio che anche per una persona giovane, lavorare in un hotel come Il Pellicano possa essere un'esperienza completa ed estremamente formativa.
Com'è la tua collaborazione con la proprietaria e CEO e Direttore Creativo della Pellicano Hotels Group Marie-Louise Sciò, la cui attenzione ai dettagli è nota per quanto riguarda il brand de Il Pellicano?
Sarà perché conosco Marie-Louise Sciò dal 1998, quando sono entrato per la prima volta in questa azienda, ma c'è un bellissimo rapporto per cui lei viene coinvolta in tutte le scelte che riguardano i menù.
Mi ritengo fortunato ad avere il pieno supporto della proprietà. Questo mi dà la libertà di esprimermi al meglio e allo stesso tempo mi permette di migliorarmi perché Marie-Louise è molto attenta ed ha un occhio diverso rispetto a chi è coinvolto nell’operatività. È la miscela perfetta, così come lo è stato in passato con Roberto Sciò; oggi lei continua sullo stesso stile.
Come integri nella tua cucina quel mix di fascino contemporaneo e antico tipico de Il Pellicano?
Lo faccio rielaborando l’ispirazione che traggo dalla cucina tradizionale. Questo connubio lo si ritrova anche nel mio modo di impiattare, piuttosto lineare.
Abbiamo chiesto ai tuoi colleghi quale piatto saresti, loro hanno risposto “spaghetti alle vongole piccanti”, “Cacio e Pepe”, “risotto maiale e cannella” … Detto questo, con quale piatto ti identifichi maggiormente?
Mi identifico in uno dei piatti che ormai faccio da un po' di anni, ovvero le “Capesante con galletta di maiale, soffice di patate, salsa alle mele verdi e vino ristretto”. L’ho scelto perché è il perfetto mix di gusto, estetica ed eleganza.
Dove possiamo trovarvi nei mesi di bassa stagione de Il Pellicano? Come passi il tuo tempo?
Nei periodi di chiusura, ne approfitto per selezionare nuovi fornitori e visitare altre aziende. Prima della pandemia ogni inverno andavo sempre in giro a fare qualche stage, anche se ho 47 anni, per confrontarmi con altri chef ma anche per apprendere nuove idee. E poi concedermi un po' di riposo che non è male.
Mi fa piacere anche visitare altri ristoranti, quando posso. Poi ritorno a lavoro già a gennaio, quando comincio la pianificazione per la stagione successiva.
Uno chef stellato Michelin come te avrà già provato di tutto, o esistono pietanze che attendi con ansia di aggiungere a quelle che conosci?
Sarei curioso di assaggiare gli insetti, se ne parla tanto ma non ho mai avuto modo di provarli.
Esiste un piatto che per te assume un valore nostalgico particolare o un significato speciale?
Non so se questo te lo posso dire…Oramai sono tanti anni che faccio questo mestiere ma la pasta al pomodoro che preparava mia madre, ben cotta, per me rimane il piatto più buono della mia vita. Sarà perché mi ricorda l'infanzia… sarà che mi ricorda casa.
C’è anche un altro piatto tipico del beneventano, legato alle mie origini: una zuppa con le polpettine di cacio e uova, scarola e brodo di pollo. Una vera bontà!
Come definiresti i tuoi principi guida?
I miei principi guida sono la coerenza, la costanza e la continuità. Uno dei miei motti preferiti recita: “la maggior forma d'insegnamento è l'esempio stesso”. Per pretendere che i miei ragazzi siano puntuali sul lavoro, devo essere il primo ad arrivare, sempre alla stessa ora.
Dai un nome alla tua città preferita. Quali sono le prime 5 location qui che consiglieresti al tuo migliore amico o amica se è in zona?
La mia città preferita è Roma, penso sia una delle mete più affascinanti al mondo. Ogni suo angolo incanta per la sua straordinaria bellezza.
Consiglierei come ristoranti Pierluigi e Roscioli, mentre tra i luoghi più iconici suggerirei Piazza di Spagna e il Colosseo. Da non perdere poi la vista dal Gianicolo.
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Last Updated on Maggio 27, 2024 by Editorial Team
In qualità di caporedattore, Raffaele cura il magazine con un tocco cosmopolita, avendo lavorato tra Londra, Berlino, New York e Barcellona. Le esperienze con i marchi del lusso, insieme alla passione per i viaggi e l’alta cucina, regalano ai lettori una prospettiva unica.